La settima arte

Di Eleni Calotychos

La settima arte

Il cinema nasce nel 1895 con la prima proiezione a pagamento dei fratelli Lumière, a Parigi, e nel corso degli anni si è evoluto a tal punto da acquisire una parte molto importante nella nostra società.

Da quell’anno, in tutto il mondo, c’è stato sempre chi, con una cinepresa in mano, ha iniziato a registrare, e questa nuova forma d’arte (considerata la settima) ha ovviamente vissuto tante fasi cruciali e diversi cambiamenti, come quando, nel 1927, è avvenuto il passaggio dal muto al sonoro e il cinema di Hollywood – capitale mondiale dell’industria dei sogni – è cambiato drasticamente, con gli attori del muto scontenti che poi, anche se in buona parte caduti nel dimenticatoio, furono costretti a modificare radicalmente il loro modo di recitare, prima molto sopra le righe, e via via sempre più realistico, anche grazie al cambiamento che coinvolse i set tramite l’utilizzo di nuove tecnologie, sempre più all’avanguardia. E un esempio perfetto dell’atmosfera vissuta in quegli anni è presente nella pellicola Sunset Boulevard, realizzata nel 1950 dal regista Billy Wilder. La storia è ambientata nella Hollywood degli anni Trenta, dove il protagonista Joe Gillis è uno scenografo squattrinato che si ritrova a lavorare e a convivere con Norma Desmond, una diva del muto ormai dimenticata. I due intrecciano una relazione che oggi definiremmo tossica, all’interno della quale Joe si ritrova intrappolato tra l’ossessione per la cinepresa manifestata da Norma e il suo carattere estremamente egocentrico. Il film, nonostante una tecnica di recitazione ancora un po’ teatrale e un montaggio piuttosto lento, tiene ancora gli spettatori incollati allo schermo grazie a una trama molto ben scritta e tessuta.

Ma anche il cinema sonoro ha vissuto il suo momento di forte crisi quando il pubblico, tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, ormai tutto preso dalla televisione, diserta le sale e così facendo, paradossalmente, contribuisce a far nascere la Nuova Hollywood, i cui autori adottano una poetica cinematografica che cambia il punto di vista della videocamera, iniziando a occuparsi di tematiche sempre più delicate, come il ruolo della donna nella società americana o la solitudine dei giovani. La rottura con il cinema precedente è netta, le pellicole non rappresentano più, infatti, un posto magico, ma adesso iniziano a mostrare la vera faccia della vita, raccontando la complessità del quotidiano, soprattutto grazie ad autori fondamentali che ancora oggi ricordiamo e studiamo, diventati poi leggendari, da Martin Scorsese a Steven Spielberg, da Goerge Lucas fino a Stanley Kubrick. Ed è proprio quest’ultimo regista che realizza Arancia Meccanica, lungometraggio del 1971, film che narra il crescendo delle scorribande criminali di Alex e della sua banda, denominata Drughi. La pellicola è diventata molto celebre nella storia del cinema per il modo molto crudo ed enigmatico con cui ha rappresentato le brutalità commesse dalla gang del protagonista, che poi verrà arrestato e sottoposto alla famosa terapia “no violence”.

Ma ecco che la settima arte subisce ancora un altro cambiamento con l’avvio della sua fase post-moderna, iniziata negli anni Ottanta e arrivata fino ai nostri giorni e caratterizzata da un ritmo di montaggio frenetico, quasi in concorrenza con la velocità con cui le ultime due generazioni ricevono informazioni e stimoli da quel nuovo mega universo web che da oltre trent’anni, ormai, ci avvolge e in cui consapevolmente viviamo. E sopravviviamo. 

Eleni Calotychos

 

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