Il contenuto della circolare numero è riservato.
Il tunnel
Quando da bambini ci capita di attraversare un lutto, non comprendiamo totalmente quello che ci sta accadendo. Viviamo il momento, giorno per giorno, senza sapere, però, che stiamo crescendo in modo diverso da tutti gli altri. E quando subiamo un trauma il nostro cervello tenta di “tutelarci” facendoci dimenticare completamente, o quasi, quello che ci è accaduto, ma non sempre ci riesce, perché affrontare un lutto è come essere dentro a una gabbia, con la costante consapevolezza che non possiamo dimenticare e siamo bloccati con i ricordi che abbiamo, belli o brutti che siano.
Quando siamo grandi, e da bambini abbiamo subito un lutto, non riusciamo più a comprendere cosa sia reale o cosa invece è solo frutto della nostra immaginazione, non ricordiamo più la sua voce, il modo in cui ci guardava o il suo viso e tutto ciò ci causa uno stato di frustrazione e di insoddisfazione, siamo a disagio a parlarne e ci sentiamo in difetto. Perché quando affrontiamo un trauma, non è quasi mai semplice spiegare come ci sentiamo, cosa proviamo e cosa pensiamo, abbiamo solo paura di non essere capiti, di ferire o di essere feriti.
Freud dice che ci sono tre fasi del lutto: la prima è la fase in cui rifiutiamo la realtà, un momento, per me, durato anni, in cui io non mi sono mai domandata niente, in cui non riuscivo a provare nulla e non capivo, appieno, cosa mi stesse succedendo. Ero in una sorta di tunnel e non riuscivo a muovermi, sentivo che qualcosa non ci fosse più, che io avessi perso qualcosa, per me sembrava non essere importante, mi appariva come un gioco ma non mi rendevo conto quanto tutto questo mi stesse sconvolgendo la vita.
La seconda fase è quella in cui accettiamo la realtà, il momento in cui versiamo le lacrime e in cui cerchiamo di comprendere. Ci sentiamo spesso soli e dispersi in quel tunnel, ora gelido, dove ci siamo solo noi e nessuno riesce a decifrare cosa stiamo provando. Abbiamo paura di chiedere e di spiegare quanto, in verità, ci manchi qualcosa e qualcuno. La consapevolezza, per me, che quel giorno non ho solo perso una persona importante, ma anche, molto probabilmente, la mia infanzia, il rapporto con la mia famiglia e, soprattutto, me stessa. Una parte di me è volata via insieme a lui e io, mi sento come se avessi un buco, che piano piano sento sempre più presente, ingombrante, incolmabile. La terza, e ultima fase, è il distacco. Accetti il trauma e la scomparsa, lo comprendi, senza farti più domande. Lo rispetti, provi ad andare avanti e tenti di uscire da quel tunnel, ancora gelido, che ti sei creato.
Questo ciclo può durare anni, non c’è una scadenza, un libretto delle istruzioni o un’etichetta informativa, funziona così e basta e noi siamo in balìa del corso del tempo. Ognuno di noi è diverso e viviamo, comprendiamo e accettiamo i nostri pensieri e le nostre emozioni in modo differente. Però, ricordiamoci che nessuno è solo, anche quando siamo bloccati, anche quando ci sentiamo in difetto, anche quando siamo pieni di rabbia, perché ci sarà sempre qualcuno che allungherà la mano e ci farà sentire meglio.
Eleni Calotychos
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